lunedì 19 marzo 2007

Il digitale non esiste - aforismi (88-100)

88. Nel 1927 il Napoléon di Gance è già immagine numerica che si interroga sul movimento in quanto grandezza matematica, misurando la quantità di motricità disponibile e riafferabile nell’ambito della logica diversiva dell’occhio.

89. Fra il 1908 e il 1914, nei film girati per la Biograph, Griffith cataloga in via definitiva ogni singolo diversivo.

90. Nel digitale il numerico è un aspetto qualitativo; nel cinema quantitativo, cioè informatizzato dalla continua ricostituzione del punto di vista.

91. In The Girl and Her Trust Griffith scaglia la macchina da presa a una velocità superiore a quella del primo mezzo di comunicazione digitale, protagonista del film, il telegrafo.

92. Una cinepresa mutante, una macchina sperimentale dal funzionamento automatico, con la stessa non referenzialità dello spazio vuoto di un display, che fa a meno dell’umano, che brucia l’immagine nell’incandescenza continua di linee terrestri e di orizzonti celesti, è stata definita da Michael Snow région centrale.

93. Sokurov con The Sun inventa un’immagine che l’occhio non è più in grado di decidere come è stata ottenuta, arrivando a far coincidere la questione del digitale - l’atto stesso di realizzazione dell’immagine - con quella del potere, indicando la similitudine e quasi l’indiscernibilità dei due vuoti: l’invisibilità del potere e il potere dell’invisibile.

94. Ulmer aveva creduto di poter varcare la linea dicendo: vedere è detour.

95. Il digitale, a sua volta, conferma la collateralità di qualsiasi visione.

96. In Collateral e in Miami Vice Michael Mann sa che il digitale è una deviazione dell’occhio.

97. Anche Une visite au Louvre di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet - non digitale - è tutto un mi sembra di vedere, non si vede più niente, non vedrete più niente, chiudete gli occhi, apriteli, vediamo, quello che abbiamo visto, quello che potremmo vedere.

98. Come i dipinti anche il cinema, con il digitale, non è più libero di perdere i suoi colori.

99. Quando i colori si sbiadiscono, non rimane più che un’immagine.

100. “Guardando non s’impara nulla sui concetti dei colori” (L. Wittgenstein).

martedì 13 marzo 2007

Il digitale non esiste - aforismi (81-87)

81. La questione di ogni immagine è la messa a fuoco, il punto di vista fra luce e ombra, la breve e inavvertita sutura fra visibile e invisibile, il rapporto fra macchina e reale.

82. Per questo la fotografia si è diffusa prima del computer: perchè la pulsione primaria non è di accumulare dati, ma di sopravvivergli.

83. Lucas è un sopravvissuto che individua nell’inapparenza del realizzatore una resistenza all’anonimato del meccanismo.

84. Non è la macchina il problema, ma la possibilità di arrivare a toccare qualcosa del non essere mai del tutto presenti all’immagine.

85. Nessuno è attuale.

86. Che cosa c’è di più virtuale e di più oltre-umano, quindi di più temporale, oltre il tempo, dell’umano?

87. Il digitale è l’in-attualità del (nostro) tempo.

lunedì 12 marzo 2007

I prossimi villaggi - Racconti

Lorenzo Esposito
Avatar

John si alzò presto quel mattino. Il suo risveglio produsse una reazione a catena che buttò giù dal letto decine di membri della confraternita in almeno tre continenti. La rete assecondò subito i primi passi del leader, tramutando il leggero e ininterrotto ronzio del sonno nella consueta colonna sonora claudicante che espandeva come un’eco proveniente dal basso colpi di tosse, passi strascicati, rumore di vettovaglie, tastiere premute, frasi smozzicate. Mentre preparava il caffè, John aveva già inviato il primo ordine di attacco all’avanguardia. Osservando la soluzione acquosa gorgogliare incerta, aspettava un riscontro e ripassava mentalmente i punti sostanziali della strategia di avanzamento. Delle migliaia di confraternite digitali in lotta la sua era una delle più antiche e maggiormente rispettate, cosa che ovviamente accresceva le sue responsabilità. Per questo motivo tutte le sue azioni dovevano essere programmate, visto che le relazioni quotidiane, il contesto stesso in cui ogni singolo membro della confraternita si muoveva, erano il contenuto principale della battaglia. La guerra si svolgeva in quella che una volta veniva chiamata rete, e che oggi era semplicemente la realtà. Ovviamente John, da anni ormai conscio della policronia della propria e altrui immagine, insomma consapevole che l’assoluta visibilità coincideva con l’altrettanto assoluto controllo, anche quella mattina aveva fatto in modo che fosse il suo ologramma a portare avanti il gioco, mentre lui continuò a dormire fino a tardi.

giovedì 8 marzo 2007

(questo non è un) diario

Soprattutto, preferirei avere la lucidità atona del Bartleby melvilliano - che non ho.

mercoledì 7 marzo 2007

(questo non è un) diario

La stanchezza, quasi immediata, del farsi/farmi blog, non è nella penuria di commenti, ma esattamente in ciò che li provoca oppure li azzera, la stessa noiosissima intensità autoreferenziale, quel monologo interiore sui cui si basa la comunicazione oggi, nichilismo infine, letterario o meno.

lunedì 5 marzo 2007

Il digitale non esiste - aforismi (66-80)

66. L’uomo smette di vedersi, benchè l’immagine lo rifletta di continuo. Un giorno quell’uomo decide di darsi un’immagine, di riportare in vita l’immagine di se stesso. Prende tutte le immagini, le ricopre di carne e le libera per il mondo. Queste si dimostrano a tal punto fameliche, che gli esseri umani originari cominciano una guerra contro se stessi allo specchio. E perdono. O al massimo sopravvivono. Lentamente, nonostante tutti gli sforzi per scongiurarla, l’immagine è già passata.

67. Debord lo chiamava spettacolo integrato.

68. L’identità è zombi.

69. Cosa vede uno zombi, se è un’immagine dell’immagine che è stato? Questo aspetto del visibile è il fattore politico del cinema di Romero, oltre che l’esatta ri-capitolazione del dirsi esseri viventi.

70. Se c’è da sempre un ‘luogo-fantasma’ che rende discontinua la restituzione tecnica, c’è grazie alla velocità normale impressa, di cui quella retinica è solo il pre-testo.

71. Se il piano rallenta, e tutt’intorno i corpi cominciano a vacillare pur avanzando, allora la macchina - il cinema? - si arrischia a viaggiare verso il vuoto, a rischiare il vuoto e il suo fallimento.

72. In Romero i vivi vengono sconfitti perchè rifuggono dal vuoto terreo dei risorti riconoscendogli il fascino di una massa vitale, un’immagine in sé libera da tutte le convenzioni del guardare. A nessuno è permesso smarrirsi a tal punto da risorgere.

73. Il digitale lavora direttamente su questa immagine in esilio. Al corpo non viene più richiesta la messa a morte, ma la resurrezione.

74. Forse Adorno si stupiva che da Auschwitz dei corpi fossero riusciti a ritornare.

75. L’esilio è un incrocio di piani. Non un’immagine chiara, ma una discesa fragile, il contorno sfumato di una sovrimpressione. Un ritorno potenziale.

76. Gitai lo chiama di volta in volta promised land, free zone, news from home.

77. L’esilio è l’identità.

78. Registi che non conoscono l’esilio e che pensano di aver risolto il problema con il digitale e il progresso: Mike Figgis, Peter Greenaway, Lars Von Trier.

79. Registi che sanno che il digitale non esiste: George Lucas.

80. Il soggetto delle Star Wars è l’immagine in esilio, cioè l’identità - dell’immagine.

venerdì 2 marzo 2007

Il digitale non esiste - aforismi (52-65)

52. Lo status teorico di immagine simulata è diffuso ben al di là delle funzionalità digitali. Soderbergh o Tarantino, pur facendone limitatissimo uso, sono registi digitali.

53. Soderbergh mima Hollywood, finge una recita il cui imprevisto si annida appunto nei margini previsti e prevedibili della sceneggiatura e dove il full frontal significa l’esatto opposto, ossia tutto ciò che passa di lato, inatteso, non ancora archiviato.

54. Tarantino trasforma un’immensa biblioteca di memoria cinetelevisiva in una grande e tragica interrogazione sull’archeologia dei corpi, sull’occhio gettato fra spezzoni e ritrovamenti, sulla costruzione e insieme sull’istantanea deperibilità del sapere audiovisivo in quanto tale. Sul concetto di virtuale non c’è nient’altro da aggiungere.

55. In ritardo si è compreso come il corpo si fosse già dissolto nella forma industriale post-romantica dell’arte che è il cinema. Il digitale è retroattivo.

56. “Con tutto ciò, tutte le considerazioni che partono dal soggetto restano false nella misura in cui la vita è divenuta apparenza. Poichè, infatti, nella fase presente dello sviluppo storico, la prepotente oggettività di quest’ultimo consiste solo nella dissoluzione del soggetto, senza che un nuovo soggetto sia nato nel frattempo dal suo grembo, l’esperienza individuale poggia necessariamente sul vecchio soggetto, storicamente condannato, che è ancora per sé, ma non è più in sé. Esso si crede ancora certo della propria autonomia; ma la nullità dimostrata ai soggetti nei campi di concentramento investe ormai la forma stessa della soggettività” (T. W. Adorno).

57. L’essenza delle Star stava nel proteggere e nel proteggersi da questa crisi.

58. Godard ha detto: “Ogni film è un documentario sul volto e sul corpo dei suoi attori”. Oggi dobbiamo dire: ogni film è un documentario sul corpo dell’immagine.

59. In Kill Bill Uma Thurman non è un corpo combattente, ma un colore. È il giallo, il cuore solare su cui scintillano i fendenti delle spade, sul quale si impasta il rosso del sangue e il rosa che sale sulle guance durante la battaglia, il bianco latte di una neve improvvisa su cui si attutisce il mondo per l’ultimo duello.

60. Da questi corpi critici emergono due parole: identità e esilio.

61. Io è semplice. Io è una buona scappatoia per cominciare. Si dice io e e le parole vengono da sé e ci si crede protetti, cullati dalla maschera, mimetizzati nel corpo di una parola che, una volta scritta, si finge non appartenga più.

62. Io, ovvero questo liquido amniotico chiamato cinema, che se fosse solo il film, sarebbe un alibi ancora maggiore.

63. La stessa flagranza del cinema può dimorare nella scissione folle dello scrittore che mentre dice io è già altrove e semplicemente non-è. Oppure negli abissali mancamenti fra ogni singola parola, il neologismo stesso che diventa fuori campo, curvando oltre il tempo e diventando puro spazio. È il caso, rispettivamente, di Bret Easton Ellis e di James Ellroy.

64. I grandi cineasti si vedono quando il film tocca l’impersonalità della macchina. Non quando dimostrano di saper vedere, ma quando la cosa filmata è lo sguardo stesso. I grandi cineasti sono im-presentabili.

65. “Il presente è solo dei brutti film” (J.-L. Godard).