venerdì 9 febbraio 2007

Il digitale non esiste - aforismi (11-25)

11. L’ossessione di Vertov per l’occhio meccanico fa sì che l’immagine scorra ritmicamente solo a patto di far sentire non solo il lavoro compiuto per ottenerla, ma i singoli istanti della composizione nel momento stesso in cui ri-accade davanti ai nostri occhi. La visione diventa intervallo, si pone fra rappresentazione e immagine tentando di mostrare l’origine del loro accoppiarsi creativo. L’artificio della macchina è la prima illusione. La tecnica è il vedere.

12. Non c’è mai origine, c’è un nucleo indistinto che precede il farsi immagine del pensiero.

13. Nei due Spiderman di Raimi tutte le prospettive aeree, le angolazioni, le inclinazioni radenti il corpo della città, parlano dell’impossibile ritorno all’origine. Esse sono un’immagine internamente dialettica, continua e discontinua, in salita e in discesa, una linea spezzata, uno sguardo al suolo e un’improvvisa panoramica dall’alto: l’intervallo fra ciò che si vede e il vedere. L’andamento claudicante e fragilissimo fra digitale e pellicola coincide con la perdita dei poteri dell’eroe. La tela del ragno dipana i fili dell’immagine sulla linea dell’orizzonte, tentando follemente di strapparsi al corpo e alla maschera. Il vedere digitale ha le medesime imperfezioni di un ragazzo adolescente caricato di grandi responsabilità: inciampa, zoppica, sbaglia, dimentica, si distrae, non vede.

14. Quando il cinema arriva a costituire un flusso di tempo non conosciuto, non presente nella realtà, contemporaneamente denuncia l’illusorietà di tale movimento.

16. “Un albero è un albero, filmatelo in Griffith Park” (un produttore a King Vidor sul set di La folla).

16. La questione riguarda il rapporto fra la macchina e l’esterno. Non solo i diversi gradi di realismo, ma l’atto in sé della riproduzione. Che senso ha cercare proprio quell’albero, visto che non di un albero si tratta ma di un’immagine?

17. Il meraviglioso in Méliès testimonia l’automatismo inconscio di ogni effetto di illusione. È questa traccia dell’esperienza della macchina a costituire la soglia che conduce per opposto alla sospensione della realtà teorizzata dalle cosiddette vedute dei Lumière.

18. Fatale che i Lumière debbano ripetere la sequenza dell’uscita dalla fabbrica degli operai. Ineluttabile la presa d’atto d’essere dinanzi a una processualità provvisoria che abbandona la realtà e diviene la realtà di un passaggio, cioè, come in Méliès, il documento del fantastico dell’immagine.

19. La realtà è un documentario? I documentari di Herzog si lasciano alle spalle finzioni e finzioni di documentario, obiettivi, supporti e grane, dichiarandone la sostanza aliena. Non si chiedono più cosa filmare, ma come il mondo filmerà se stesso. Non vogliono filmare cose mai viste, ma cose che non esistono (e quindi che non si vedono?).

20. L’unico grado di realtà connesso al digitale sta nel fatto che la cosa reale davanti a un dispositivo di ripresa gli è aliena.

21. Il difficile, ma anche l’avventuroso e il tragico, sta nel cammino di ciascuno per ri-conoscere il proprio vedere, per accorciare la distanza che separa il tempo già passato di qualunque immagine e ciò che ci appare come la nostra vista.

22. Herzog in Grizzly Man, The White Diamond e The Wild Blue Yonder sa che il visto è già il primo livello di invisibilità, che l’immagine è lì da un tempo e in un tempo incalcolabili e non importa chi o cosa c’era o mancava dietro e davanti alla macchina da presa. Ecco allora una segno di vita: il documento viene reso indocumentabile.

23. Le poche immagini che ci è dato vedere nei film, non sono un’aggiunta a tutte quelle dei film precedenti, ma un altro tratto di discesa, una sottrazione di effetti che, forse, potrebbero un giorno condurci indietro all’occhio.

24. Sprofondare lentamente nell’idea di un film. Passo dopo passo provocare una rottura nel documentario attraverso la dialettica fra immagine e parola, la parola che cede e l’immagine che sembra pro-cedere da sola. Si chiama finzione - l’immagine, che si finge divaricata fra documentario e finzione...?...

25. Sono le parole a sfiorare l’invisibile. Il documentario manca la realtà, ne è appena un’eco, tanto più falsa, quanto più documentata. Mai visto nessun regista, come Herzog, così intenzionato - in qualche modo misterioso quasi obbligato - a mettere in scena, soprattutto quando documenta.

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