venerdì 16 febbraio 2007

Villaggi irraggiungibili

Lorenzo Esposito
Racconti sui prossimi villaggi irraggiungibili e sul tempo che non gli basta
III.
Autofagia.
Nei primi giorni del XXI secolo, L. sbarcò sulla costa africana. C’era una grande confusione. Un uomo di nome Patrick dirigeva le operazioni di smistamento. Non si trattava più di emigrazione controllata, adesso l’accordo veniva concluso all’origine. Uno o più incaricati dislocati lungo i settori di divisione e un programma di ripartizione concordato fra gli Stati. Disponibilità, risorse, occupazione e un lungo interrogatorio. Una specie di laboratorio intra-etnico. Per tutti, poche speranze di partire. Alla fine dell’esame poteva succedere che l’incerto sudanese venisse riassegnato al Mali e lo spigoloso nigeriano al regno verde del Camerun, e così via. L’Africa si rimescolava. L’Africa mangiava autofaga pellicine intorno alle unghie.
Sul ponte grigio livido che collegava per chilometri le sponde aeree del deserto, qualcuno senza faccia si sporgeva. Guardava Patrick e stava per domandargli qualcosa, ma esausto già si voltava. Nel deserto si possono vedere cose che non esistono. Patrick percorreva per chilometri la linea di confine, e ogni volta era costretto a verificare che la linea si era spostata, che non esistevano confini. Ciò provocava lunghissime discussioni fra i membri del comitato al seguito dei lavori per conto dei vari Stati. Poichè non si trovava soluzione, alla fine di ogni seduta la mappa dell’Africa veniva modificata. Patrick allora uscì dalla tenda per guardare il tramonto, e lì dove la sabbia sembrava declinare verso l’orizzonte, vide chiaramente delle alture, dei laghi, degli alberi, un’automobile che girava in tondo come a rincorrere il sole. Salì sulla sua jeep e si diresse velocemente verso il centro della visione, ma superò altri mille confini senza che il paesaggio mutasse: non c’erano alture, non c’erano laghi, non c’erano alberi, non c’era alcun motorizzato predatore di sole.
L. si installò nell'attività febbrile. La sabbia gli scaldava i piedi, e il calore piacevolmente gli saliva fino alla base della nuca. Si sta bene, qui. Una mattina Patrick si alzò prima degli altri. Fece un giro d’ispezione, assicurandosi che le file di viaggiatori fossero sotto controllo. A quell’ora erano già svegli, e silenziosamente si preparavano a tentare di rompere gli argini. Lui aspettava il giorno in cui avrebbero capito come sfruttare a loro favore l’inconsistenza delle linee divisorie, smettendola di spingersi in avanti in linea retta. I percorsi erano specificamente pensati per trasformare il divieto a emigrare in un programma di riassegnazione globale, ma per questi abitanti del deserto la sabbia non aveva peso, stavano tutti di profilo a immaginarsi la costa dall’altra parte, con gli occhi abbandonati laggiù.
Mentre il sole sorgeva e le mosche e gli uccelli si alzavano in volo e i serpenti uscivano dalle tane, Patrick sentì queste domande: si sta parlando di confini o dell’uomo? Cosa si sa dei nostri confini di esseri umani? Cosa significa confine? In attesa di una risposta, il giovane nigeriano prese la sua telecamerina digitale e la portò sulla duna più grande, e poi la portò anche nella giungla profonda. Mentre camminava nel lungo carrello, inciampò nel fango, cadde, e si poteva vedere la spia rossa ancora accesa. Il ragazzo fece così col braccio per alzarsi, ma aveva una gamba rotta. Moscerini sull’obiettivo, che ancora registrava. Cominciò a piovere. Gocce sul vetro e tempesta di sabbia. Il fango si addensò in un ruscello d’acqua salmastra e il giovane nigeriano venne trascinato via. La telecamera scivolò nella stessa direzione e lo riprese mentre lui la guardava spinto verso il basso, e continuò a riprenderlo anche quando la sua corsa finì, sbattendo il capo sul tronco nodoso di un grande albero, perdendo i sensi e forse anche la vita. La telecamera scivolò ancora, riuscendo a scorgere i piedi di una bambina che correva, e più avanti, grazie a uno scossone, l’uomo che le stava accanto tenendola per mano. Ruotando fece in tempo a rubare un pezzo di cielo e un brano di città là sotto. Patrick notò che tutti i viaggiatori in attesa si erano cavati gli occhi.
L., che amava raccogliere e conservare documenti, prima di ripartire intercettò una lettera che Patrick scrisse prima di addormentarsi.

Avamposto 4b, raggiera maghrebina, gennaio 2000
"Ciao Sarah,
oggi il sole ha cominciato a manifestare i primi segni di insofferenza. La luce ha smesso di essere uniforme e i raggi scendono intermittenti. In molti hanno riportato strane bruciature, che sembrano indicare delle forme astrali, oppure vogliono solo dirci qualcosa del nostro passato. Sento molto la tua mancanza, soprattutto la notte, quando avrei bisogno del tuo calore. Ti ricordi quel viaggio sulle stelle dove non c’era più un unico sole, e noi correvamo a metterci sulle due colline più distanti per vedere quale faceva più luce? Spesso mi fermavo e girandomi ti guardavo correre, perchè mi piaceva come diventavi una macchia fuori fuoco e sembravi fatta d’aria. La notte quei due soli era come se non ci fossero mai stati, e solo il tuo corpo riusciva a farmi avere un po’ di calore. Qui invece qualcosa sta andando storto, o forse è andato storto tanto tempo fa, quando è stato creato prima il deserto e poi il mondo. Amore mio, quanta amarezza! Sono stato tutto il giorno a guardare la carcassa di un vecchio aereo che è comparso dietro una duna. Era così immobile e senza vita, non come sono le cose lasciate lì per caso, che invece hanno quella loro anima misteriosa, ma come la morte, fredda e gelida, di uno sconosciuto. Non ho avuto il coraggio di toccarlo, e ho dovuto anche litigare con il Comitato, perchè non mi trovavano, e una decina di viaggiatori aveva provato a superare gli argini suicidandosi, contemporaneamente sicuri di avere invocato il germe della trasmigrazione. Cosa c’è di là, amore? Cos’è questo desiderio selvaggio di passare dall’altra parte? Passare. Non è comune a tutti gli umani? Ho pensato: di umano è rimasto solo essere superati. Passare è umano. Ma ti sto annoiando. Tu come stai? Metti sempre il rossetto rosso che mi piace tanto? Come sei vestita? Mi manchi, mi manca il tuo sapore, mi manca la tua voce...”.

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